LA STORIA

di Domenico Gambino
Campofelice di Fitalia, Paese del Grano, sorge nel territorio dell’ex Stato feudale di Fitalia, che in origine appartenne alla nobile famiglia Calvello e poi, per mezzo del matrimonio tra Giovanni Antonio Settimo e Laura Calvello, celebrato nel 1482, passò definitivamente alla famiglia Settimo. Il paese nasce nel 1811 per volontà del principe di Fitalia Girolamo Settimo Calvello e Naselli che ebbe riconfermata da Ferdinando IV di Borbone l’antica “licentia abitatorum territorium” di Fitalia concessa nel 1594 al suo antenato il barone Michele Settimo. La denominazione Campofelice, secondo la tradizione popolare, fu data in omaggio alla moglie del principe che si chiamava Maria Felice ma, invero, il toponimo composto da “campo” e “felice” corrisponde a terra fertile. Significato che viene riconfermato dal seguito “fitalia”, toponimo greco nel significato di terra fruttifera. La popolazione, per molto tempo, fu sempre in continua crescita con un significativo incremento demografico, tanto che al censimento del 1861 si contarono 1017 abitanti. Segno inequivocabile che il progetto del principe aveva avuto successo. La fondazione del villaggio, però, coincise con un momento di grandi cambiamenti e con gli anni di transizione dal sistema feudale alla libera proprietà, cosicché, dopo l’avvio dei lavori per la costruzione del villaggio, nel 1812, venne approvata la legge che sanciva la fine della feudalità, ma i primi coloni presero possesso delle abitazioni soltanto nel 1814. Questi eventi, paradossalmente, pesarono sfavorevolmente sul futuro del villaggio. Piccoli centri di nuova fondazione, infatti, alla fine della feudalità, assunsero la figura di comuni in quanto sorti in tempi precedenti. Per Campofelice le cose andarono in maniera diversa. Popolatosi appena dopo la fine della feudalità, al signore di Fitalia vennero a mancare quei diritti stabiliti dal sistema feudale e al paese, di conseguenza, non fu riconosciuta l’entità comunale. Caso forse unico, la nuova popolazione rimase una entità indefinita, amministrata dai principi di Fitalia fino al 1846 per poi, addirittura, autoamministrarsi senza alcun riconoscimento giuridico anche se nel 1848 venne istituita la carica di “Eletto di Fitalia” e l’ufficio dello Stato civile. Questa situazione perdurò fino al 1851 quando il governo borbonico decise di affidare provvisoriamente l’amministrazione di Campofelice al comune di Mezzojuso. Da qui le ragioni della travagliata vicenda di Campofelice di Fitalia che seppur fondato con l’antica “licentia populandi” non godette dei privilegi comunali e perciò i campofelicesi dovettero lottare a lungo per avere riconosciuta l’autonomia comunale. L’economia era sostanzialmente condizionata dalla vocazione del territorio alla cerealicoltura che, come è noto, costituisce ancor oggi la principale attività agricola dei campofelicesi. Nella seconda metà dell’Ottocento nel paese si delineava una specifica cultura popolare dovuta all’integrazione e alla mescolanza di linguaggio, usi, costumi e devozioni provenienti dai vari paesi di origine dei primi abitanti generando un originale patrimonio culturale. Anche nelle situazioni politico-sociali il paese mostrava la propria identità. Nel 1856 da Campofelice al grido di “Viva la libertà” prese avvio la sfortunata rivolta organizzata da Francesco Bentivegna contro il dispotismo borbonico che fu presto soffocata e finì nel peggiore dei modi. Il Bentivegna fu condannato a morte e fucilato nella piazza di Mezzojuso; tra i condannati a morte con pena commutata a 18 anni di carcere duro anche sette campofelicesi. Nel 1860 furono liberati dai picciotti che si unirono a Garibaldi, e diedero il loro contributo all’unità d’Italia. Nel 1866 quando a Palermo scoppiò la sommossa popolare, detta “del Sette e Mezzo”, Campofelice fu tra i paesi dell’entroterra del palermitano dove il risentimento popolare si sollevò in modo assai violento e l’ordine fu ristabilito soltanto quando dalla città sopraggiunse un battaglione di soldati. Nel 1893, sull’esempio di altri Comuni, anche a Campofelice fu costituita una sezione dei “Fasci dei lavoratori”, instaurando rapporti con altre organizzazioni e con Bernardino Verro, corleonese e leader del movimento. Un altro periodo importante della storia politica e sociale del paese, è costituito dalla fondazione, agli albori del Novecento, di due organizzazioni fortemente contrapposte, ovvero la “Società Agricola Operaia di Mutuo Soccorso – Libertà e Lavoro” di orientamento socialista e la “Società Cooperativa Cattolica” comunemente detta “Lega Cattolica”. I campofelicesi, che avevano acquisito una propria identità politica e culturale legata alla propria origine storica, erano rimasti rilegati a frazione, così nel 1890 veniva fondata la Società Agricola Operaia “Umberto I”, finalizzata alla mutua assistenza e alla difesa degli interessi locali. Da quel momento, negli anni successivi, si moltiplicarono sempre più le proteste e le richieste verso l’Amministrazione comunale di Mezzojuso per la risoluzione di problemi locali. L’autonomia comunale sembrò cosa fatta nel 1922 quando fu discussa al Parlamento italiano, ma grande fu la delusione quando si apprese il rinvio della decisione. L’avvento del fascismo, pregiudizialmente contrario alle autonomie locali, portò alla sospensione di quell’anelito di autonomia. Al termine della seconda guerra mondiale e con l’affermarsi delle nuove idee di libertà, democrazia e valorizzazione delle autonomie locali, l’antica aspirazione dei campofelicesi si impose nuovamente nella vita politica del paese (circa 1700 ab.) che fu incentrata a sostenere la causa della libertà amministrativa ma, malgrado i campofelicesi trovassero sostegno nella Regione Siciliana, le battaglie per raggiungere l’autonomia furono molto aspre. Per questo motivo grande e commovente fu la gioia dei campofelicesi quando, finalmente, il 1° febbraio 1951, venne approvata la legge Ragionale che elevò Campofelice di Fitalia a comune autonomo.